Se ne parla soprattutto nell’ambito lavorativo, ma riguarda anche lo sport, la scuola e altre discipline artistiche. In pochissimi conoscono la disciplina legale: può essere lecita o rappresentare un abuso
“Quello è un raccomandato!”. Quante volte lo abbiamo sentito dire o lo abbiamo pronunciato in prima persona? Della raccomandazione si parla spesso, soprattutto quando trattiamo dell’argomento lavoro. Nel discorso rientrano anche la scuola, lo sport o altre carriere artistiche.
Ma non tutti (anzi, pochissimi) conoscono la disciplina legale che riguarda la raccomandazione, ovvero che stabilisce quando questa sia legale o meno. Non è possibile offrire una risposta generalizzata, per accertare la presunta illegalità si deve prendere in considerazione ogni aspetto del caso, cioè il modo in cui la raccomandazione viene esercitata e recepita. Molto spesso, al di là di quelli che sono i sentimenti idealisti e l’auspicabile meritocrazia, la raccomandazione è del tutto legale. Il datore di lavoro, soprattutto quando si parla di privato, può scegliere in merito alle assunzioni e alle promozioni in maniera del tutto discrezionale.
Dovrà comunque rispettare gli obblighi contrattuali e naturalmente non operare nessuna discriminazione vietata espressamente dalla legge. Escludendo l’ambito prettamente lavorativo, la raccomandazione può affiancarsi ad alcuni illeciti. Per esempio un insegnante non può discrezionalmente modificare i voti di uno studente sul registro (in cui si commetterebbe il reato di falso pubblico), ma è tenuto a seguire dei criteri idonei e oggettivi. Così non fosse può essere sottoposto al Tribunale amministrativo regionale, che commina delle precise sanzioni disciplinari. Anche qui, però, diventa complicato parlare di una vera e propria illegalità della raccomandazione.
La raccomandazione, al contrario, può costituire un reato nel lavoro pubblico. I criteri di assunzione, infatti, sono rigidamente stabiliti dalla Pubblica amministrazione nell’ottica dell’uguaglianza e nella tutela dei diritti della collettività. Proprio a questo servono i bandi e i concorsi che devono garantire l’assoluta oggettività nella selezione dei candidati. Chi falsa i risultati commette un reato. La stessa Costituzione tutela con l’articolo 97 l’imparzialità dei concorsi e dei bandi pubblici.
Chi non si avvale dei criteri stabiliti, insomma, è punibile per il reato di abuso d’ufficio, punibile con la reclusione da 1 a 4 anni. E la pena può aumentare se il pubblico ufficiale ha ricavato un vantaggio di entità notevole oppure se il danno causato è rilevante. La responsabilità delle scelte, in caso simili, ricade esclusivamente sul pubblico ufficiale che accoglie o esercita la raccomandazione nelle sue funzioni. Comunque non si può escludere la responsabilità del cittadino privato nella raccomandazione, per esempio quando si impone una raccomandazione con minaccia o violenza.
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